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Cronaca

Corte dei Conti scagiona collaboratore scolastico di Salerno nei “diplomifici”: un verdetto che solleva interrogativi sul sistema locale.

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Corte dei Conti scagiona collaboratore scolastico di Salerno nei “diplomifici”: un verdetto che solleva interrogativi sul sistema locale.

Una sentenza che ribalta il concetto di lavoro pubblico: #CorteDeiConti assolve un salernitano e protegge chi suda sul campo, non solo sui titoli

In una terra come la Campania, dove il pubblico impiego è spesso sinonimo di storie intricate tra burocrazia e vita reale, questa sentenza della Corte dei Conti di Milano non è solo un verdetto, ma un segnale che potrebbe finalmente premiare chi ha sgobbato per anni senza badare alle carte stropicciate. Da Salerno, dove le famiglie dipendono da quei ruoli scolastici per arrivare a fine mese, questa decisione ci fa riflettere su quanto il sistema sia più incline a punire gli errori formali che a riconoscere il sudore vero. Non è solo giustizia, è un promemoria per chi amministra: il lavoro conta più dei documenti.

La storia di L.S., un collaboratore scolastico di Salerno finito nell’occhio del ciclone per un diploma di perito ottenuto nel 2012 e poi bollato come irregolare, è un classico esempio di come le indagini avviate dal Ministero dell’Istruzione possano trasformarsi in veri e propri incubi. Inizialmente, la Procura Contabile ha puntato dritta a far restituire tutti gli stipendi percepiti, accusandolo di aver ingannato le casse pubbliche. Ma, come spesso accade in queste faccende locali, il peso delle prove e una difesa astuta hanno ribaltato la situazione.

Grazie all’intervento dell’avvocato giuslavorista Danilo Albano, la linea difensiva ha enfatizzato un’idea semplice eppure rivoluzionaria per il nostro territorio: se il dipendente ha svolto il suo lavoro senza intoppi, non c’è danno per lo Stato, indipendentemente dalle magagne iniziali nel concorso o nell’assunzione. È come dire che, qui da noi, dove le scuole sono sempre a corto di personale e i bidelli diventano eroi quotidiani, il vero metro è l’impegno sul campo, non la perfezione burocratica. Questa sentenza richiama addirittura l’articolo 36 della Costituzione, ribadendo che “il lavoro svolto va retribuito”, un principio che, nel marasma delle inchieste sui cosiddetti “diplomifici”, suona come un campanello d’allarme per le istituzioni.

La Corte ha chiarito che eventuali irregolarità si fermano alla fase di reclutamento, eventualità che potrebbe aver svantaggiato altri candidati, ma una volta che il servizio è stato prestato con regolarità, il diritto allo stipendio diventa solido come una roccia. Per noi cronisti locali, questo è un invito a riflettere sulle dinamiche del nostro Sud, dove troppe volte si perde tempo a scavare nel passato invece di valorizzare il presente. Quante storie simili ho sentito raccontare nei bar di Salerno? Dipendenti pubblici che hanno dato anima e corpo al loro ruolo, solo per ritrovarsi sotto indagine per un pezzo di carta.

«Questa decisione rappresenta una tappa fondamentale», commenta l’avvocato Albano, «perché riconosce e protegge il diritto del lavoratore, separando la regolarità del titolo di accesso dal diritto a essere retribuito per il lavoro concretamente svolto. È un principio di civiltà giuridica che avrà un impatto su tutta la giurisprudenza nazionale in materia di pubblico impiego».

Con questa sentenza, non solo L.S. può finalmente respirare, ma migliaia di altri dipendenti pubblici in situazioni analoghe – soprattutto qui in Campania, dove il settore educativo è un pilastro precario – vedono blindati i loro diritti. È un verdetto che ci ricorda come, alla fine, il lavoro onesto sia la vera garanzia, non i cavilli legali. Per un giornalista come me, che vive queste storie da vicino, è una vittoria per il territorio: forse, stavolta, il sistema ha dato retta alla realtà quotidiana invece di impantanarsi nelle carte.

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