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Cronaca

Condanna ridotta per il boss Fontanella: estorsioni, lussi non pagati e assunzioni forzate mettono alla prova la giustizia locale.

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Condanna ridotta per il boss Fontanella: estorsioni, lussi non pagati e assunzioni forzate mettono alla prova la giustizia locale.

#Verità Giudiziarie a Sant’Antonio Abate: Dal Racket di Auto Non Pagate alle Assunzioni Forzate, un Nuovo Capitolo nel Controllo Mafioso del Territorio #CronacaNapoli #Antimafia #GiustiziaLocale

Nel nostro territorio di Sant’Antonio Abate, dove le trame della criminalità organizzata si intrecciano da decenni con la vita quotidiana degli imprenditori e della comunità, emerge ora una sentenza che getta nuova luce su un sistema di intimidazioni e pressioni. La Corte d’Appello di Napoli, con la sua sesta sezione penale, ha rivisto parzialmente una sentenza del Tribunale di Torre Annunziata, confermando il ruolo centrale del noto boss Catello Fontanella in un intreccio di estorsioni, ma riducendo drasticamente la sua pena. È una di quelle decisioni che, da queste parti, non fa solo rumore nei corridoi dei tribunali, ma risuona nelle strade, dove la gente si chiede se davvero stiamo sfiorando la fine di certi equilibri malavitosi o se sono solo un’illusione.

Fontanella, figura storica della criminalità stabiese, era stato rilasciato nel 2018, e secondo le indagini, non ha perso tempo a ritessere la sua rete di dominio. Il verdetto di secondo grado mantiene la condanna per estorsione aggravata dal metodo mafioso, ma commuta la pena da dieci a sei anni di reclusione – un taglio che, come cronista locale, mi fa riflettere su quanto la giustizia debba bilanciare le prove con le sfumature di un contesto dove il potere sotterraneo è abilissimo a nascondersi. Non si tratta solo di numeri: Fontanella è stato anche obbligato a risarcire il Comune di Sant’Antonio Abate e il Fai Antiracket, parti civili in questo processo. È un piccolo segnale di speranza per una comunità stanca di vedere le sue risorse prosciugate da chi impone regole non scritte, ma è anche un reminder che questi risarcimenti, pur necessari, non bastano a riparare il tessuto sociale lacerato.

Sul fronte opposto, c’è la storia di Michele Sabatino, un imprenditore edile che in primo grado era stato condannato a tre anni. La Corte d’Appello lo ha assolto con formula piena, riconoscendo che non aveva alcun coinvolgimento nei meccanismi di Fontanella. “Non era l’intermediario del clan”, come dichiarato dai suoi difensori, gli avvocati Alfonso Piscino e Ciro Del Sorbo, che hanno smontato ogni accusa con prove solide. Questa assoluzione è un sospiro di sollievo per chi, come me, vive qui e sa bene quanto sia facile per un innocente finire intrappolato in indagini complesse, dove le ombre della malavita si allungano su attività legittime. Sabatino esce pulito da questa storia, e non posso fare a meno di commentare come questo sottolinei i rischi per gli imprenditori locali: in un’area come la nostra, dove il confine tra affari normali e pressioni mafiose è spesso labile, una falsa accusa può distruggere una vita.

Ma andiamo al cuore del racket, quel meccanismo di sopraffazione che continua a condizionare l’economia del nostro territorio. Fontanella, stando alla ricostruzione dell’accusa, avrebbe ottenuto una Bmw X3 a noleggio senza mai pagare un euro, restituendola solo dopo un incidente e sostituendola con una Fiat 500, anch’essa lasciata impagata. Non è solo un furto di beni, è un simbolo di come la criminalità si infiltra nei gangli della quotidianità: queste auto di lusso non pagate rappresentano il potere di chi pretende senza dare, un’abitudine che, da queste parti, alimenta un ciclo di paura e sottomissione. E non finisce lì: attraverso una società legata alla sua ex compagna, il boss avrebbe imposto assunzioni forzate in un’azienda di prodotti bio, imponendo personale di sua scelta. È il classico trucco mafioso, mascherato da normali operazioni imprenditoriali, che dirotta il lavoro locale in un sistema di controllo economico. Come giornalista che conosce queste dinamiche, vedo in questo un riflesso delle sfide che affrontano le piccole imprese qui: il rischio costante di essere fagocitate da reti illegali, con ripercussioni che vanno dalla perdita di autonomia alle distorsioni del mercato del lavoro.

Questa sentenza, insomma, ridisegna gli equilibri non solo di un processo, ma di un intero territorio. Conferma il ruolo di Fontanella in un meccanismo di estorsioni e intimidazioni che, purtroppo, rimane al centro di molte indagini sul controllo economico dell’area stabiese. Eppure, assolvendo Sabatino, i giudici inviano un messaggio di discernimento, un piccolo passo verso la trasparenza in un contesto dove la giustizia deve navigare tra prove schiaccianti e innocenti coinvolti per sbaglio. Qui a Sant’Antonio Abate, dove ogni verdetto riecheggia nelle piazze e nei caffè, ci auguriamo che questa decisione non sia solo un capitolo chiuso, ma l’inizio di un impegno più ampio per spezzare le catene del racket e ridare fiato a una comunità che merita di più.

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