Cronaca
Carcere di Avellino sotto accusa: detenuto perseguita vedova con rete di cellulari nascosti tra le celle.
Avellino sotto assedio digitale: detenuti che gestiscono il crimine da cella! #CarcereIrpino #GiustiziaInCarcere #AvellinoCronache
Ah, Avellino, la mia terra con i suoi paesaggi incantevoli e le sue ombre nascoste. Qui, dove le colline verdi si intrecciano con storie di ordinaria resilienza, emerge un’altra crepa nel sistema che ci dovrebbe proteggere. Immaginate: un detenuto, rinchiuso dietro le sbarre del carcere “Antimo Graziano”, che usa uno smartphone proibito per infierire sulla vedova della sua vittima. Non è solo un fatto di cronaca, è un pugno allo stomaco per chi, come me, vive in queste strade e sa quanto sia fragile il confine tra carcere e mondo esterno.
L’operazione dei Carabinieri del Nucleo Investigativo, scattata su disposizione della Procura irpina, ha svelato un network sotterraneo che coinvolge ben 18 persone. Da febbraio 2025, gli inquirenti hanno lavorato per smantellare questa rete illecita, dove cellulari e SIM card non autorizzate diventavano strumenti di un potere occulto. È inquietante pensare che, tra le mura di un’istituzione pensata per isolare, alcuni detenuti navigassero il web, gestissero profili social e persino minacciassero parenti e conoscenti delle loro vittime. Come giornalista locale, non posso fare a meno di riflettere su come questo rifletta le dinamiche del nostro territorio: Avellino, con la sua comunità stretta e le sue risorse limitate, spesso lotta contro un sovraccarico di sistemi penitenziari che sembrano più porosi che sicuri.
Gli investigatori hanno sequestrato vari dispositivi elettronici e SIM intestate a identità fittizie o inesistenti, tracciando un vero e proprio ecosistema parallelo battezzato “connected cell”. Attraverso l’analisi di tabulati e dati digitali, è emerso un quadro allarmante: profili social alimentati dai reclusi, pieni di immagini e post che potrebbero servire come prove in indagini future. E tra i casi più scioccanti, ce n’è uno che mi fa rabbrividire per la sua audacia. Un uomo, già condannato per omicidio, ha continuato a perseguitare la moglie della sua vittima con messaggi e chiamate carichi di odio. Per lui, le accuse si aggravano: non solo uso illecito di strumenti di comunicazione, ma anche atti persecutori.
Questa operazione, condotta in tandem con la Polizia Penitenziaria e estesa alle celle ancora abitate dagli indagati, mira a estirpare un male endemico nel panorama carcerario italiano, ma qui ad Avellino risuona ancora più forte. Io, che vedo ogni giorno i volti delle famiglie locali, mi chiedo: come è possibile che questi “centri di attività criminali con connessioni invisibili” prosperino in un contesto dove le risorse per la sorveglianza sono sempre tirate? È un richiamo allo spirito critico: il nostro territorio, con le sue tradizioni di solidarietà, merita un sistema più robusto, uno che non trasformi le prigioni in hub virtuali del male. Solo affrontando queste falle potremo sperare di proteggere davvero la nostra comunità, evitando che il passato infestato di rancori si riversi nel presente.
