Cronaca
Aule gelide a 10 gradi e uscite interne insicure: Il Liceo di Sant’Angelo denuncia le carenze strutturali sul territorio.
#AuleDaBrividoASantAngelo: Studenti del Liceo al Freddo e nel Caos, Mentre il Territorio Ignora le Ferite del Passato
Sant’Angelo dei Lombardi, un paesino dell’Irpinia che porta ancora le cicatrici del terremoto del 1980, si ritrova oggi a combattere con una scuola che sembra uscita da un’era dimenticata. Qui, al Liceo Linguistico, gli studenti non studiano tra i banchi, ma resistono al gelo e a strutture che urlano abbandono, in un edificio che un tempo ospitava uffici burocratici. Come cronista locale, cresciuto tra queste colline, vedo in questa storia non solo un problema di riscaldamento, ma un simbolo di come il nostro territorio continui a trascurare i suoi giovani, perpetuando errori che pensavamo sepolti sotto le macerie di quarant’anni fa.
Tutto è iniziato due anni fa, con una decisione affrettata di un dirigente scolastico in reggenza, che ha spostato il Liceo all’ultimo piano di un palazzo mai davvero sfruttato prima. Quel trasferimento ha isolato gli studenti del linguistico dal resto dell’istituto: al piano inferiore, solo il biennio della ragioneria resiste, mentre qui sopra c’è un’intera sezione che sembra un’appendice dimenticata. “Siamo completamente distaccati dagli altri indirizzi dell’istituto”, spiegano gli studenti. “Viviamo una condizione di isolamento fisico e gestionale”. È ironico, in un contesto come il nostro, dove la comunità irpina ha sempre fatto della coesione un punto di forza contro le avversità, che proprio una scuola finisca per dividere invece di unire.
Le condizioni sono aggravate da temperature che sfidano ogni norma: gli studenti denunciano aule gelide, con termometri che non superano i 10 gradi, ben al di sotto dei 18°C previsti dalla legge. “Dentro ci sono 10 gradi, quando la normativa nazionale stabilisce un minimo di 18°C”, denunciano gli studenti. “Passiamo le ore con giubbotti e sciarpe. Non è scuola, è resistenza”. E non è solo il freddo: le uscite di sicurezza sono interne anziché esterne, come dettano le regole; le porte antipanico si bloccano di continuo; le finestre sono difettose, permettendo al vento di Irpinia di entrare senza pietà. Per chi, come me, ha vissuto gli echi del sisma, è sconcertante vedere come queste lacune ricordino proprio le vulnerabilità che ci hanno segnato nel 1980. Eppure, le istituzioni locali, tra buona volontà della sindaca e del vicepreside, offrono solo soluzioni parziali, mentre il dirigente – based a Napoli e poco presente – non riesce a supervisionare come si deve.
Il senso di abbandono è palpabile, e non aiuta il fatto che, il 23 novembre, proprio nel giorno della memoria del terremoto, gli studenti siano stati coinvolti in eventi commemorativi mentre la loro scuola cadeva a pezzi. “Mentre ci fanno partecipare a una giornata di sensibilizzazione, la scuola cade a pezzi. I tecnici sostengono che la struttura è a norma, ma la realtà è davanti agli occhi di tutti”. Come giornalista del territorio, mi chiedo: è possibile che, in un’area come la nostra, dove il ricordo delle tragedie dovrebbe spingere a maggiore vigilanza, si arrivi a minimizzare rischi così evidenti? Gli studenti si sentono non solo ignorati, ma addirittura incolpati: “Nessuno ci difende. Anzi, dicono che siamo noi a non voler fare lezione”. La verità, però, è che passare sei ore in un ambiente del genere non è istruzione, è una sfida alla sopravvivenza – e questo stride con il ruolo che la scuola dovrebbe avere nel nostro tessuto sociale, come baluardo contro l’emigrazione giovanile.
Nella sede centrale dell’istituto, intanto, tutto fila liscio: calduccio e comfort per alcuni, mentre altri patiscono il freddo. È un contrasto che, da locale, interpreto come un’ulteriore spaccato delle disuguaglianze che affliggono l’Irpinia: risorse scarse, promesse non mantenute, e una burocrazia che rallenta tutto. Gli studenti, esausti, lanciano un appello disperato: “Venite a vedere. Abbiamo bisogno che qualcuno ci ascolti”. E aggiungono: “Per noi sarebbe fondamentale che venisse realizzato un servizio sulla nostra scuola. La visibilità mediatica potrebbe finalmente costringere qualcuno ad affrontare il problema”. È una chiamata alle armi che, come chi racconta questa terra da anni, non posso ignorare: se non interveniamo ora, rischiamo di perdere un’altra generazione tra le pieghe dell’indifferenza.
In questo scenario, la comunità di Sant’Angelo merita di più – una scuola sicura, dignitosa, che rifletta l’orgoglio di un territorio resiliente. Solo così potremo voltare pagina e costruire un futuro che non ripeta gli errori del passato.
