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Cronaca

Ad Avellino, cellulari in carcere sfidano la sicurezza: 18 indagati al penitenziario Graziano, un problema che persiste.

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Ad Avellino, cellulari in carcere sfidano la sicurezza: 18 indagati al penitenziario Graziano, un problema che persiste.

#CarcereAvellinoInGuerra: Quando le sbarre non bastano più a fermare il crimine

Avellino, una città che si vanta delle sue radici irpine e del suo spirito comunitario, si trova oggi a fare i conti con un’ombra inquietante: il suo carcere “Antimo Graziano” è diventato un vero e proprio snodo per operazioni criminali, dove i detenuti continuano a orchestrare illeciti come se fossero in un ufficio sotterraneo. Come cronista locale che vive e respira queste dinamiche, non posso fare a meno di riflettere su come questo scandalo metta a nudo le crepe nel nostro sistema di sicurezza, un problema che va ben oltre le mura del penitenziario e colpisce la fiducia della comunità.

Le indagini, partite lo scorso giugno 2024, hanno portato a una vasta perquisizione nel carcere avellinese, coordinata dai carabinieri del Nucleo Investigativo provinciale, dalla Polizia Penitenziaria e dal Nucleo Investigativo Regionale della Campania, su ordine della Procura di Avellino. In tutto, 18 persone – tra detenuti e ex detenuti – sono finite nel mirino per l’uso illecito di telefoni cellulari e smartphone all’interno delle celle. Non si tratta solo di chiamate innocue o messaggi di famiglia, bensì di un’attività sistematica che permetteva di mantenere contatti con l’esterno, organizzare nuovi reati e gestire reti criminali attraverso social network e app di messaggistica, spesso con profili falsi creati direttamente da dietro le sbarre.

Questa non è una novità per chi, come me, segue da anni le storie di Avellino: la Campania è una regione dove il crimine organizzato ha radici profonde, e vedere come persino un’istituzione come il carcere fallisca nel suo scopo base – isolare i colpevoli dalla società – è un colpo duro al nostro senso di sicurezza. Pensateci: mentre la gente qui lotta con la quotidianità, dai ritardi nei servizi pubblici alle sfide economiche, i detenuti continuano a operare come se niente fosse, erodendo la fiducia nelle forze dell’ordine che dovrebbero proteggerci.

Un elemento particolarmente allarmante, che evidenzia la gravità della situazione, è il caso di un indagato che avrebbe utilizzato il telefono per minacciare e perseguitare la vedova della vittima dell’omicidio per cui è recluso, configurando così il reato di atti persecutori. Durante la perquisizione, le forze dell’ordine hanno sequestrato vari dispositivi e altro materiale chiave, con l’obiettivo di smantellare la rete di comunicazioni e complicità che ha permesso a questi individui di delinquere impunemente.

Come qualcuno che conosce bene le strade di Avellino e le sue comunità, non posso evitare di commentare con un velo di realismo: questo episodio non è solo un fallimento operativo, ma un riflesso di un problema più ampio, legato alla prevenzione e al controllo all’interno delle nostre strutture penitenziarie. Quanto ancora possiamo tollerare che il carcere, anziché essere un luogo di riabilitazione, diventi un’estensione del mondo criminale? Le indagini proseguono, e noi, come cittadini, speriamo che questo serva da campanello d’allarme per rafforzare i meccanismi di sicurezza, ripristinando un po’ di ordine in una città che merita di più.

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