Cronaca
A Varcaturo, il clan Mallardo e la sua rete di estorsioni e minacce: la “mesata” al centro dell’inchiesta, con 10 indagati.
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In un territorio come Giugliano in Campania, dove le dinamiche della vita quotidiana si intrecciano con ombre del passato, l’ultima ordinanza del GIP di Napoli contro dieci indagati per associazione mafiosa e estorsioni non sorprende del tutto, ma getta una luce cruda su come il clan Mallardo continui a influenzare le nostre strade e l’economia locale. Come cronista che vive e respira questi quartieri, non posso fare a meno di riflettere su come queste indagini rivelino non solo fatti, ma anche le fragilità di una comunità che lotta per sottrarsi a un’eredità oppressiva.
L’operazione, firmata dalla giudice Ambra Cerabona, si inserisce nel lungo filone di indagini sul clan Mallardo, da anni alleato con i Contini e i Licciardi nell’Alleanza di Secondigliano. Questo sodalizio non è solo un retaggio storico, ma una rete viva che estende i suoi tentacoli in Campania, Lazio e Toscana, alimentando un’economia parallela che sfiora il lecito. Dal mio punto di vista, qui sul territorio, è evidente come questa organizzazione non si limiti a delinquere, ma si insinui nelle pieghe della società locale, condizionando appalti, attività commerciali e persino la percezione di sicurezza quotidiana.
La struttura del clan appare come una macchina ben oliata, divisa in gruppi territoriali con al vertice la famiglia Mallardo. Non si tratta solo di criminalità organizzata, ma di un sistema che controlla il territorio attraverso attività estorsive, usura, scommesse e corruzione di settori pubblici, per poi reinvestire i profitti in imprese e immobili. È un meccanismo che, come chi abita qui sa bene, erode la fiducia nelle istituzioni e alimenta un ciclo di dipendenza illecita. Il gruppo costiero di Varcaturo–Lago Patria emerge come un fulcro operativo, responsabile di gestire i rapporti con Giugliano, la contabilità delle entrate illecite, gli elenchi degli stipendi (“mesate”) e le azioni estorsive sul campo. Questa cellula, secondo l’ordinanza, agiva con una precisione intimidatoria, esercitando pressioni e minacce per mantenere il controllo.
Pietro Tortorelli viene indicato come il principale organizzatore di questo gruppo, coadiuvato da collaboratori che distribuivano fondi, individuavano i target e persino custodivano armi. Le estorsioni puntavano soprattutto a cantieri edili e attività commerciali, sfruttando l’aura minacciosa del clan Mallardo per estorcere denaro. Un episodio emblematico è quello del cosiddetto “cavallo di ritorno”, dove è stata chiesta una somma di 2.500 euro per restituire un’auto rubata, aggravato dal metodo mafioso – una pratica che, nel nostro contesto locale, non fa che rafforzare il senso di impunità e sfiducia.
Tra gli episodi più emblematici, al bar Eden si è tentato di estorcere 10.000 euro a una vittima per una controversia familiare, con tre indagati che hanno agito per agevolare il clan, anche se l’azione non si è conclusa per motivi esterni. Ancora più brutale, alla pizzeria “Non solo Polli”, sono state inflitte minacce e percosse al titolare e ai dipendenti, culminate nella consegna di 7.500 euro da parte di tre persone coinvolte. Questi fatti, accaduti tra novembre e dicembre 2023, non sono solo crimini isolati; per me, che osservo il territorio da vicino, rappresentano un attacco diretto alla fibra economica di Giugliano, dove piccole imprese lottano per sopravvivere senza cedere al ricatto.
Guardando alle posizioni individuali, Pietro Tortorelli è descritto come il cervello del gruppo costiero, gestendo mesate, rapporti con i vertici e azioni sul campo. Emanuele Piscopo, suo stretto collaboratore, si occupava della distribuzione degli stipendi e della selezione dei bersagli, mentre Roberto Corona forniva supporto logistico, incluso l’accompagnamento a riunioni e la custodia di armi. Altri come Gennaro Ronga e Carmine Cerqua erano in prima linea nelle estorsioni, con Giuseppe D’Alterio e Alfredo Lama a pressare il territorio di Lago Patria. Giovanna D’Agostino fungeva da tramite per comunicazioni e denaro, legandosi al compagno detenuto, e Giuseppe Sacco e Ivan Falcone completavano il quadro con ruoli attivi nelle azioni illecite.
Le indagini, condotte tra luglio 2023 e luglio 2024, sottolineano come questi meccanismi non siano un problema distante, ma una realtà che erode il tessuto sociale di Giugliano. Come giornalista locale, mi chiedo: quanto ancora possiamo tollerare che questi clan dettino le regole, influenzando non solo l’economia, ma anche il morale di una comunità che merita di più? È tempo che le istituzioni e i cittadini uniscano le forze per spezzare questa catena, trasformando queste ordinanze in un vero punto di svolta per il nostro territorio.
