Cronaca
A Torre del Greco, dopo la tragedia, Severino resta detenuto: una condotta da censurare sul territorio.
Nuovi dettagli choc sulla tragedia di Torre del Greco: una notte di follia che ha spezzato una vita #TorreDelGreco #SicurezzaStradale #GiustiziaSulTerritorio
A Torre del Greco, mentre la comunità ancora piange e onora la memoria di Aniello Scarpati nei suoi funerali, emergono particolari sconcertanti su quella fatidica notte tra Halloween e l’alba del 1° novembre lungo la litoranea. Come cronista locale, cresciuto in questi vicoli affollati e trafficati, non posso fare a meno di riflettere su quanto questo episodio non sia solo un incidente isolato, ma un drammatico specchio delle nostre abitudini stradali: un misto di incoscienza giovanile, eccessi notturni e un disprezzo per le regole che troppo spesso sfocia in tragedie prevedibili.
Tommaso Severino, il 28enne imprenditore di Ercolano, si è presentato in aula davanti al giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Torre Annunziata, assistito dal suo avvocato Domenico Dello Iacono. È accusato di omicidio stradale aggravato per la morte dell’agente Scarpati e per aver ferito il collega Ciro Cozzolino, che fortunatamente è stato dimesso oggi dal reparto di ortopedia dopo aver superato la fase critica. Severino, già in stato di fermo, ha affrontato l’udienza di convalida in un’aula che, per chi conosce il nostro territorio, rappresenta spesso l’ultimo baluardo contro il caos delle strade vesuviane.
In quel momento, “Sono disperato e costernato per quanto accaduto”, ha dichiarato al giudice, ammettendo candidamente di essersi messo al volante nonostante l’evidente stato di alterazione dovuto a alcol e sostanze. Eppure, come ben sa chiunque viva qui, queste parole suonano come un’eco di troppe scuse già sentite: quante volte, nei bar o nelle piazze di Torre, abbiamo discusso di giovani che sfidano il destino per una notte di festa, ignorando i rischi per sé e per gli altri? Il giudice, tuttavia, non si è fatto ingannare da questo pentimento tardivo. Ha accolto in pieno la linea della Procura, confermando l’arresto e ordinando la detenzione in carcere, bocciando la richiesta difensiva di arresti domiciliari come inadeguata.
Le carte del procedimento parlano chiaro: “Guidava sotto l’effetto di alcol e cocaina”, un’affermazione che il giudice ha ribadito con fermezza nel suo provvedimento. Da quanto emerso dalle analisi, Severino non solo aveva un tasso alcolemico oltre i limiti, ma era anche positivo alla cocaina. Il magistrato ha descritto il suo comportamento come “caratterizzato da un livello di colpa elevatissima”, con la vettura lanciata a una velocità sconsiderata nonostante le implorazioni dei passeggeri – tra cui tre minorenni – che lo pregavano di rallentare. Qui, da locale, mi chiedo: quanta familiarità c’è con queste scene sulle nostre strade costiere, dove la litoranea diventa un’autostrada improvvisata per chi vuole sfidare i limiti, lasciando che l’adrenalina si mescoli a sostanze che offuscano il giudizio?
Ancora più inquietante è la ricostruzione degli eventi post-incidente: dopo aver centrato l’auto della Polizia, Severino avrebbe avuto la freddezza di accendersi una sigaretta sul luogo dello schianto, per poi dileguarsi senza prestare soccorso. Il giudice ha bollato questa fuga come una “quasi flagranza”, giustificando l’arresto come obbligatorio di fronte a una gravità così evidente. Non è solo un fatto di cronaca, è un pugno nello stomaco per tutti noi: quante volte, in queste periferie, abbiamo visto incidenti coperti da un velo di omertà o di negligenza, dove il primo istinto è scappare invece di aiutare?
Nelle motivazioni del provvedimento, il giudice è stato lapidario: “Tragico evento evitabile e prevedibile”, sottolineando come la condotta di Severino fosse “incosciente e scellerata”, con una velocità folle che ha trasformato una pattuglia in routine in un funerale annunciato. Ha evidenziato come il giovane abbia messo a repentaglio non solo la vita degli agenti – uno dei quali era solo al lavoro per proteggere la nostra comunità – ma anche quella dei suoi passeggeri. E qui, da chi conosce le dinamiche locali, non posso non commentare: eventi del genere non sono rari in un territorio come il nostro, segnato da un misto di vitalità e incoscienza, dove le notti festive spesso sfociano in pericoli evitabili con un po’ di responsabilità collettiva.
La valutazione della personalità dell’imputato ha pesato come un macigno sulla decisione: “Incapace di rispettare le regole”, ha scritto il giudice, ritraendo Severino come qualcuno le cui “spinte criminose” non possono essere contenute da misure più leggere. Per lui, la detenzione è l’unica garanzia per la sicurezza pubblica, vista l’impossibilità di prevedere futuri reati. La difesa, naturalmente, non ci sta e annuncia un ricorso al Tribunale del Riesame per una sanzione meno severa, ma intanto la città resta avvolta in un lutto profondo.
Torre del Greco, con il suo mix di dolore e rabbia, non può ignorare questo specchio: Aniello Scarpati era un eroe quotidiano, descritto da amici e colleghi come un giovane generoso e sempre pronto a intervenire. La sua morte, definita dal giudice come “ingiusta, evitabile e frutto di una condotta sconsiderata”, ci costringe a una riflessione collettiva sulle nostre strade, sui nostri eccessi e sulla necessità di un cambio di rotta prima che altre famiglie piangano. Qui, dove ogni dramma è anche una lezione, speriamo che questa tragedia non sia vana.
