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Cronaca

A Qualiano, figlia della vittima di accoltellamento grida giustizia: “L’ex in carcere per sempre”

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A Qualiano, figlia della vittima di accoltellamento grida giustizia: “L’ex in carcere per sempre”

#QualianoNonDimentica: La rabbia di una figlia contro la violenza che non smette di ferire

A Qualiano, dove le strade conoscono fin troppo bene l’eco delle grida silenziose delle donne in pericolo, la storia di Marika è un pugno allo stomaco che ci obbliga a fermarci e riflettere. Come cronista del territorio, che ha visto troppe volte promesse di sicurezza infrangersi contro la cruda realtà, non posso limitarmi a riassumere i fatti: devo denunciare come questo episodio non sia solo un dramma personale, ma il sintomo di un fallimento collettivo nelle nostre comunità.

Marika, figlia della vittima da un precedente legame, ha trasformato il suo dolore in un urlo pubblico su Facebook, diventando la voce di chi, qui nel nostro hinterland napoletano, lotta contro l’indifferenza. Lei racconta di come sua madre sia scampata per miracolo a un’aggressione che poteva finire in tragedia, un atto di violenza domestica che ci rammenta quanto le cicatrici di Qualiano siano profonde. È un richiamo amaro a una realtà che conosco bene: le denunce presentate con fiducia alle forze dell’ordine, i braccialetti elettronici promessi come scudi invincibili, eppure insufficienti a proteggere chi è nel mirino.

Le sue parole non lasciano spazio a dubbi: “Sono la figlia della ragazza miracolata di Qualiano, voglio il suo aggressore dentro per sempre”. Questo grido di giustizia non è isolato; è una critica feroce al sistema che, nei nostri quartieri, spesso si rivela un colabrodo. Marika non risparmia nessuno, attaccando l’inefficacia di misure che dovrebbero essere un baluardo: “Basta femminicidi, basta arresti domiciliari dopo varie denunce, basta braccialetti inutili e basta leggi che non portano alla salvezza di queste donne in pericolo,”. Come qualcuno che vive queste dinamiche da vicino, mi chiedo: quante volte dobbiamo assistere a queste lacune prima che i responsabili smettano di promettere e inizino ad agire?

Ancora più inquietante è il dettaglio che emerge dal suo racconto: “Mia mamma mezz’ora prima dell’accaduto era in caserma, convinta di essere protetta dalle forze dell’ordine.” Qui, a Qualiano, dove le caserme sono punti di riferimento per la comunità, questa rivelazione è un’ammissione di fallimento che ci lascia attoniti. Non è solo un errore burocratico; è un tradimento della fiducia che le donne ripongono nelle istituzioni, in un territorio dove la violenza di genere è un’epidemia silente, alimentata da una mentalità patriarcale che tarda a evolversi.

Il suo appello si allarga poi a un orizzonte più vasto: “Voglio giustizia per mamma, voglio giustizia per tutte le donne. Aiutateci a far arrivare il messaggio a chi di dovere. Non si può più vivere nella paura.” È un monito universale, ma qui da noi suona come un’eco familiare, un richiamo a mobilitarci per cambiare le cose. Infine, Marika ha condiviso le parole potenti di Cristina Torres Caceres, riprese da Elena Cecchettin in un contesto di lutto simile: “Mamma non piangere le mie ceneri. Se domani tocca a me, mamma, se domani non torno, distruggi tutto, se domani tocca a me, voglio essere l’ultima”. Questa citazione non è solo un grido di dolore; è un invito alla rivolta contro una società che accetta la normalizzazione della paura.

Come giornalista locale, immerso in queste storie che toccano il cuore della nostra Qualiano, vedo in questo episodio l’urgenza di una vera riforma. Non bastano le condanne a parole; servono risorse, formazione e un impegno concreto per spezzare il ciclo di violenza. È tempo che il nostro territorio, con le sue radici forti e le sue fragilità, diventi un esempio di cambiamento, non di rassegnazione.

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