Cronaca
A Pompei chiude RePAIR: l’IA dà nuova vita agli affreschi perduti, ma resta il dubbio sul futuro del sito.
Pompei chiude il progetto RePAIR: l’IA rivoluziona la conservazione dei tesori sepolti! #Pompei #PatrimonioCulturale #ArcheologiaDigitale
In un angolo incantato della Campania, dove il Vesuvio continua a vegliare sulle rovine che raccontano millenni di storia, si chiude un capitolo innovativo che mescola passato e futuro. Il progetto RePAIR, un ambizioso sforzo europeo per salvaguardare il patrimonio archeologico, ha affrontato una delle sfide più intricate del nostro territorio: rimettere insieme affreschi antichi ridotti in mille pezzi da eventi catastrofici, senza un modello chiaro da seguire. Come un vero campano cresciuto tra le tracce di Pompei, non posso fare a meno di riflettere su come questa tecnologia non solo preservi il nostro lascito, ma metta anche in luce i limiti delle risorse umane in un’era di scavi incessanti.
Per quattro anni, ricercatori e ingegneri hanno collaborato per trasformare la Casina Rustica del Parco Archeologico in un laboratorio all’avanguardia. Qui, una piattaforma robotica ha dimostrato la sua efficacia nel maneggiare frammenti digitalizzati, grazie a bracci meccanici equipaggiati con “soft hand” e un sofisticato sistema di visione artificiale. Immaginate un puzzle colossale senza bordi né immagine di riferimento: gli algoritmi sviluppati dai team internazionali hanno reso possibile ciò che sembrava impossibile, automatizzando un processo che tradizionalmente richiedeva ore di lavoro manuale e un’attenzione meticolosa. Da queste parti, dove il turismo e le esigenze di conservazione si scontrano ogni giorno, è evidente come questa innovazione possa alleggerire il carico su chi lavora nei siti storici, permettendo di dedicarsi a indagini più profonde piuttosto che a ricomposizioni estenuanti.
Il progetto ha focalizzato gli sforzi su due siti iconici, simbolo delle ferite che Pompei ha subito nel tempo. Gli affreschi della Casa dei Pittori al Lavoro, già devastati dall’eruzione del 79 d.C. e poi ulteriormente frantumati dai bombardamenti del 1943, e quelli della Schola Armaturarum, crollata nel 2010, sono stati digitalizzati con precisione grazie a un dispositivo portatile realizzato dall’Istituto Italiano di Tecnologia. Questo ha generato modelli 3D e analisi iperspettrali di circa duemila frammenti, creando una base solida per ricostruzioni virtuali e fisiche. Come qualcuno che conosce bene le dinamiche locali, mi chiedo se questa tecnologia non sia un’ancora di salvezza per un’area come la nostra, dove i finanziamenti sono spesso insufficienti e i reperti si accumulano a un ritmo vertiginoso a causa degli scavi preventivi legati a nuove costruzioni.
Marcello Pelillo, coordinatore del progetto e docente a Ca’ Foscari, lo definisce un punto di svolta perché alleggerisce una delle attività più complesse dell’archeologia, liberando tempo e risorse per la ricerca scientifica. È una prospettiva condivisibile, soprattutto in un contesto come Pompei, dove ogni scoperta rischia di essere sopraffatta da problemi logistici. Gabriel Zuchtriegel, direttore del Parco, aggiunge che l’IA diventerà sempre più centrale nella gestione dei reperti, soprattutto in un Paese in cui gli scavi preventivi generano enormi quantità di dati. Come cronista del posto, vedo in queste parole un monito realistico: in Campania, dove il patrimonio è sia benedizione che fardello, l’adozione di tali strumenti potrebbe finalmente colmare il divario tra conservazione e innovazione, evitando che i nostri tesori finiscano sepolti sotto la burocrazia.
Alla fine, RePAIR non è solo un successo tecnico, ma un segnale per le comunità locali che il futuro dell’archeologia può essere più accessibile e sostenibile. Qui a Pompei, dove ogni pietra racconta una storia, questa sperimentazione apre la porta a un’era in cui la tecnologia non sostituisce il tocco umano, ma lo rafforza, garantendo che le voci del passato risuonino ancora per generazioni.