Cronaca
A Napoli, un padre in lotta: “Solo Dio perdona”, esige giustizia per Francesco Pio Maimone senza sconti.
#GiustiziaANapoli: Il grido di un padre contro la camorra che ferisce il cuore della città
In una Napoli che combatte ogni giorno contro l’ombra della camorra, il dolore di un padre diventa il simbolo di una comunità stanca di promesse non mantenute e violenze gratuite. Qui, dove le strade raccontano storie di resilienza e tradimenti, l’udienza d’appello per l’omicidio di Francesco Pio Maimone ha riacceso le fiammate di rabbia e riflessione che covano nei vicoli e nei quartieri. Come cronista del territorio, so bene quanto queste tragedie non siano solo casi giudiziari, ma ferite che segnano l’anima della città, alimentando dibattiti su sicurezza e responsabilità collettiva.
Antonio Maimone, il padre del giovane pizzaiolo di 18 anni strappato via nella notte del 20 marzo 2023 agli chalet di Mergellina, ha preso la parola nell’aula 318 del Palazzo di Giustizia, con una voce che rispecchiava il tormento di tanti napoletani. “Non posso perdonare Valda, non ho questa forza. Il perdono glielo deve dare solo Dio.” Queste parole non sono solo un rifiuto personale, ma un eco delle frustrazioni di una comunità che vede la camorra infiltrarsi nei luoghi di svago, trasformando una serata tra amici in un incubo. Maimone, un uomo comune estraneo ai giri criminali, ha ricordato con amarezza quella notte: “Se vai a Mergellina armato, in mezzo a tanta gente, significa che avevi già intenzione di fare del male.” Come qualcuno che vive qui, non posso fare a meno di riflettere su come Mergellina, un’icona della Napoli vivace e turistica, sia diventata teatro di queste barbarie, evidenziando quanto la camorra sappia sfruttare i nostri spazi pubblici per affermare il suo potere.
All’imputato, Francesco Pio Valda – un giovane boss di Barra, già condannato all’ergastolo in primo grado e presente via videocollegamento dal carcere – la difesa ha presentato un memoriale che la Corte d’Assise d’Appello esaminerà nei prossimi giorni. Ma in aula, l’attenzione era tutta sul dramma umano e sociale. L’avvocato Sergio Pisani, che rappresenta la famiglia Maimone come parte civile, ha esortato i giudici a confermare la pena massima, sottolineando la gravità dell’atto: “Il colpo sparato nella folla è un atto ancora più grave della volontà di uccidere una persona precisa. Questo è un omicidio di camorra. Le sentenze si pronunciano in nome del popolo italiano, ma oggi chiedo che questa sia pronunciata nel nome di Pio.” Da cronista locale, mi chiedo se queste udienze siano davvero sufficienti a contrastare la mentalità camorristica che permea la nostra società. Napoli ha visto troppi episodi simili, dove un gesto impulsivo in mezzo alla folla diventa un messaggio di intimidazione, alimentando un ciclo di violenza che ci riporta indietro anziché avanti.
Non è stato solo Pisani a portare avanti questa battaglia. L’avvocato Marco Buzzo, per il Comune di Napoli, e Gianmario Siani, per la Fondazione Polis, hanno rafforzato il discorso con interventi che toccano le corde della coscienza collettiva. Buzzo ha ribadito con forza: “Non ci sono vittime di serie A e serie B,” ma ha poi puntato il dito su come eventi come questo scuotano l’intera città, specialmente con le logiche camorristiche evidenti nei post social che dividono i gruppi come clan rivali. È un commento che risuona vero per chi, come me, osserva quotidianamente come i social amplifichino le divisioni, trasformando dispute di quartiere in guerre virtuali che riflettono le dinamiche reali della camorra. Siani, dal canto suo, ha evocato il dolore universale con parole che tagliano come un coltello: “Non esiste parola per chi perde un figlio,” ricordando come la Fondazione nata in memoria di Francesco Pio rappresenti non solo un tributo, ma un impegno attivo contro la criminalità. Ha citato i numeri crudi delle vittime innocenti in Campania – oltre 600 nomi, come in una guerra perenne – e ha sottolineato che quella notte a Mergellina poteva capitare a chiunque, un pensiero che mi fa riflettere su quanto la camorra renda tutti noi potenziali bersagli in una città che merita di più.
Mentre le arringhe si susseguivano, lo sguardo di Antonio Maimone rimaneva fisso sul banco della difesa, un’immagine che simboleggia la tenacia dei napoletani: non arrendersi all’odio, ma esigere accountability. Questa udienza non è solo un capitolo giudiziario; è un richiamo per la nostra comunità a interrogarsi sulle radici della violenza e sul ruolo che ognuno di noi gioca nel contrastarla. In una Napoli che lotta per riscattarsi, la richiesta di Maimone – giustizia, non pietà – riecheggia come un monito per il futuro, sperando che un giorno queste storie non siano più necessarie.
