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Cronaca

A Napoli, l’allarme violenza di genere: ex partner autori nel 90% dei casi, un dramma che persiste nel nostro territorio.

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A Napoli, l’allarme violenza di genere: ex partner autori nel 90% dei casi, un dramma che persiste nel nostro territorio.

#NapoliSveglia: La violenza di genere che infetta le nostre strade, con ex partner al 90% dei casi e figli come testimoni involontari. #StopFemminicidio #NoiControLaViolenza

Nelle strade affollate e nei vicoli stretti di Napoli e della sua provincia, la violenza di genere non è solo un’emergenza, ma un’ombra costante che si allunga su famiglie e relazioni, rivelando un problema radicato nelle pieghe della nostra quotidianità. Come chi vive qui, tra il caos del centro e le periferie dimenticate, non posso fare a meno di riflettere su come questo fenomeno non sia solo un dato statistico, ma un grido silenzioso che riecheggia nelle nostre case. L’Arma dei Carabinieri sta provando a trasformare la denuncia da ultimo disperato gesto in un primo passo verso la salvezza, attraverso analisi approfondite, presidi sul territorio e spazi dedicati all’ascolto, in un tentativo che, seppur lodevole, fa emergere quanto ancora ci sia da fare in una terra dove la gelosia e il dominio spesso mascherano fragilità culturali profonde.

È un quadro allarmate quello tracciato dai dati del Comando Provinciale: la violenza di genere non discrimina, attraversando indistintamente classi sociali, quartieri e fasce d’età, dalle famiglie apparentemente normali ai giovani coppie. Qui da noi, nella metà dei casi, gli episodi si concentrano nel capoluogo, mentre l’altra metà si diffonde nei comuni dell’hinterland, confermando che non siamo di fronte a un problema isolato, ma a una piaga sistemica che unisce il cuore di Napoli alle sue cinture esterne. Come cronista del territorio, mi chiedo spesso se questa diffusione non sia il riflesso di modelli culturali ereditati, dove il controllo ossessivo e la gelosia patologica crescono come erbacce in relazioni già minate da anni di abusi “normalizzati” in casa. È in questo mix di dipendenze emotive, fragilità personali e stereotipi sociali che la violenza trova il suo nutrimento, culminando spesso in tragedie irreparabili come i femminicidi.

Il vero dramma emerge quando si analizza il momento in cui le vittime decidono di rompere il silenzio: molte si rivolgono alle forze dell’ordine immediatamente dopo il primo episodio, spinte dalla gravità della situazione o dal supporto di familiari, ma per altre, il passo arriva solo dopo 3-6 mesi, imprigionate da paure, dipendenze economiche, sensi di colpa e la illusoria speranza che “lui possa cambiare”. In otto casi su dieci, le vittime hanno figli, spesso minorenni, che diventano spettatori inconsapevoli di urla, aggressioni e minacce, rendendo ogni separazione un incubo logistico. Per noi locali, è evidente come questi bambini non siano solo testimoni, ma anche leve di ricatto, con questioni di affido e visite usate per mantenere il controllo – un meccanismo che specchio la nostra realtà, dove la mancanza di reti di supporto rende ancora più arduo spezzare queste catene.

È proprio l’ex partner a incarnare l’ombra più oscura, responsabile nel 90% dei casi, con la separazione che trasforma la fine di una relazione in un’esplosione di rabbia narcisistica. Prendiamo l’episodio a Somma Vesuviana, dove un 49enne, già noto alle forze dell’ordine, ha bloccato l’auto della ex, colpendola con pugni e urla mentre aveva un coltello nel borsello e pretendeva di “solo parlare”, un atto che, come tanti qui, sfiora il baratro del femminicidio. Similmente, ad Acerra, un 20enne ha aggredito la ex 19enne su una panchina, lanciando lo scooter contro di lei e le amiche, sfuggendo per un soffio a una tragedia annunciata – episodi che, nel nostro territorio, evidenziano come l’ossessione si manifesti in stalking incessante, pedinamenti e persino minacce di diffondere video intimi, erodendo la dignità delle vittime.

Non possiamo dimenticare le storie che hanno segnato la nostra comunità: Martina Carbonaro, Olena Vasyl’yeva, Daniela Struzzullo e Marta, nomi che restano impressi nella memoria collettiva di Napoli e provincia. Martina, una minorenne di Afragola, è stata trovata senza vita dopo ore di angoscia, con il suo presunto assassino che ha confessato di aver occultato il corpo in un omicidio aggravato. Olena è morta in ospedale settimane dopo essere stata colpita alla testa dal marito con una mazzuola per motivi futili, trasformando un atto domestico in un femminicidio. Daniela ha perso la vita a Volla per un colpo d’arma in auto, in quello che sembra un tentato omicidio-suicidio, mentre Marta, a Ischia, è stata lasciata in un dirupo e poi soffocata dal compagno dopo mesi di abusi, con l’autopsia che ha confermato l’orrore. Queste tragedie, come le vivo da locale, non sono solo notizie; sono moniti su come la violenza possa esplodere in ambienti che credevamo sicuri.

Ma oltre i titoli, c’è la violenza “di prossimità”, quella quotidiana che si consuma nei condomini e nelle vie dei nostri quartieri. A Pozzuoli, un uomo ha aggredito ripetutamente la ex davanti al figlio, tentando persino di gettarla da un belvedere – solo la sua resistenza e l’intervento rapido dei Carabinieri hanno evitato il peggio, con l’arresto per tentato omicidio. Nello stesso comune, un’altra donna è stata assalita in strada dal marito, e solo l’aiuto di tre passanti ha interrotto l’incubo. A Qualiano, invece, i militari hanno trovato una scena di caos in un appartamento: un 40enne aveva picchiato la moglie davanti ai tre figli, minacciandola con un coltello, scoprendo anche droga e denunce pregresse. Come chi conosce queste dinamiche, vedo in questi fatti un riflesso delle nostre comunità, dove il silenzio dei vicini spesso perpetua il ciclo.

La violenza non si limita alle coppie: spesso viene da chi è più vicino, come in famiglia. A Napoli, nel Rione Alto, un 44enne ha trascinato la madre 86enne fuori dal portone in un’ondata di sangue e urla, con i vicini che raccontano di liti pregresse – un arresto per maltrattamenti e lesioni che sottolinea come persino i legami più sacri possano corrompersi. In un altro caso, un padre di 51 anni ha cercato di sfondare la porta della figlia 24enne a Napoli, in piena movida, con minacce di morte che hanno richiesto l’intervento immediato delle pattuglie, evidenziando quanto la paura possa permeare anche le notti vibranti della nostra città.

Poi c’è la violenza subdola, quella dello stalking e delle ossessioni: a Vico Equense, un 44enne ha trasformato la vicina in un bersaglio, stampando e incorniciando le sue foto, seguendola ovunque con regali e insulti. A Monte di Procida, un 67enne ha inseguito l’ex con un taglierino, mentre a Ercolano una donna è stata assediata dall’ex marito con pedinamenti costanti, fino all’arresto per atti persecutori. Questi esempi, che conosco bene per averli visti nel tessuto della nostra provincia, mostrano come la violenza psicologica possa essere altrettanto devastante, erodendo la libertà giorno dopo giorno.

Una storia emblematica è quella di Pollena Trocchia, dove una donna ha vissuto per vent’anni con un uomo afflitto da dipendenze, subendo insulti e botte fino a quando, per vendetta, ha dato fuoco alla casa – fortunatamente vuota – e aggredito un passante, culminando in sequestro e rapina. Prima di arrendersi, ha ampliato il suo terrore in un atto che riassume anni di denunce ignorate, un caso che, da locale, mi fa riflettere su quanto le istituzioni debbano intervenire prima che sia troppo tardi.

Fortunatamente, l’Arma sta innovando con le “stanze tutte per sé” nelle caserme di Capodimonte, Caivano, Ercolano e Podgora, ambienti accoglienti creati in collaborazione con Soroptimist International d’Italia, per permettere alle donne di raccontare le loro storie in sicurezza. Questo progetto, esteso in vista del 25 novembre, si integra in una rete più ampia con Procure, servizi sociali e scuole, puntando su formazione e sensibilizzazione per individuare i segnali di rischio. Come cronista, apprezzo questo approccio olistico, che va oltre l’arresto e include supporto psicologico ed economico, riconoscendo che la violenza si combatte con una comunità unita.

Infine, il 112 e il 1522 rimangono i pilastri: numeri da comporre non da soli, ma con la forza di una rete. Dalle storie che ho seguito, so che spesso è un piccolo gesto – una chiamata, un aiuto improvviso – a fare la differenza. In una città come Napoli, dove il calore umano convive con queste ombre, è tempo che tutti noi ci impegniamo a trasformare il silenzio in solidarietà, per un futuro senza più paura.

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