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Cronaca

A Napoli, il giovane killer confessa: “L’errore fatale, non doveva morire lui” – Ancora una tragedia locale che fa riflettere.

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A Napoli, il giovane killer confessa: “L’errore fatale, non doveva morire lui” – Ancora una tragedia locale che fa riflettere.

#Napoli, il giovane sicario confessa: il vero mirino era un amico di Marco Pio, non lui. # BabyKiller #SpaccioGiovanile #QuartieriInFiamme

In una Napoli che troppo spesso si ritrova a fare i conti con l’ombra inquietante della violenza giovanile, la confessione di un quindicenne ha squarciato il velo su un agguato che non ha colpito il bersaglio previsto. Non era Marco Pio Salomone la vittima designata, bensì uno dei suoi amici seduto al posto del passeggero, mentre lui era accomodato sul sedile posteriore di una Panda parcheggiata nella movimentata zona di Arenaccia, su via Generale Francesco Pinto.

Il ragazzo, appena 15 anni, ha ammesso le sue responsabilità raccontando come si sia avvicinato a piedi all’auto, riconoscendo un gruppo di “avversari” e decidendo di fare fuoco con un solo colpo di pistola verso l’interno. Marco Pio è stato raggiunto alla fronte, soccorso in fretta dai compagni e portato d’urgenza in ospedale, ma le ferite si sono rivelate fatali: è deceduto poche ore dopo, senza possibilità di intervento.

Come cronista che vive questi vicoli e conosce le dinamiche di quartieri come Arenaccia o piazza Carlo III, non posso ignorare come questo episodio rifletta una realtà allarmate, dove il confine tra adolescenza e crimine si dissolve troppo facilmente. Il giovane, originario proprio di quell’area intorno a piazza Carlo III, aveva già qualche piccolo precedente per spaccio di droga, un dettaglio che colloca l’intera faccenda nel torbido mondo delle lotte per il controllo delle piazze della movida napoletana. Gli amici della vittima hanno parlato di un possibile diverbio per “uno sguardo di troppo”, una versione che suona comoda e superficiale, ma che gli inquirenti – e io con loro – non comprano affatto. È chiaro che dietro c’è molto di più: attriti legati allo spaccio, con tutti i ragazzi coinvolti immersi in quel giro torbido.

Il minorenne, presentandosi in Questura accompagnato dal suo avvocato, ha rivendicato l’atto con una semplicità che fa rabbrividire: “ho sparato io”. Ora, è accusato di omicidio aggravato e di detenzione illegale di arma da fuoco. Ma la vera domanda che aleggia, e che come giornalista locale non posso non porre con un velo di rabbia, è chi ha messo quella pistola nelle mani di un ragazzino? Chi l’ha fornita, e chi l’ha fatta sparire dopo? Le indagini della Squadra Mobile, coordinate inizialmente dalla DDA e poi dalla Procura minorile, stanno scandagliando le telecamere della zona e la rete di contatti del ragazzo per capire se fosse solo un esecutore o parte di una trama più grande, magari orchestrata da adulti che usano i minori come pedine armate in un gioco sporco.

La famiglia del quindicenne, gente di umili origini e lontana dai grandi clan della camorra, è sconvolta e non riesce a spiegarsi come il figlio sia finito in questa spirale. È un segnale doloroso di quanto i mondi si dividano nei nostri quartieri popolari: da un lato, le famiglie che lottano per tenere i figli lontani dalla strada; dall’altro, un universo parallelo di giovanissimi che crescono tra dispersione scolastica e l’illusione del denaro facile. Episodi come questo, con vittime e carnefici entrambi poco più che bambini, non sono isolati: sono la spia di un declino che colpisce luoghi come Arenaccia e i dintorni di piazza Carlo III, dove le “piazze di spaccio” non sono solo covi di traffici, ma spazi di socialità deviata, dove l’identità si forgia con le armi invece che con l’istruzione o il lavoro.

Guardando al quadro più ampio, è evidente che non basta reprimere: dobbiamo interrogarci sul vuoto che alimenta tutto questo. La criminalità giovanile a Napoli è il frutto di una mancanza cronica – di opportunità, di presidi educativi, di supporto alle famiglie – che permette a modelli deviati di proliferare. Serve una risposta a tutto tondo: azioni decise contro chi arma questi ragazzi, ma anche investimenti veri in scuole, servizi sociali e programmi che offrano alternative concrete allo spaccio, per colmare quel vuoto collettivo che la camorra sfrutta con cinismo. Solo così, forse, potremo spezzare questa catena di violenza che ci sta consumando.

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