Cronaca
A Napoli, il boss Mazzarella ‘o fenomeno dettava ordini dal carcere: 21 finiscono a processo, un’altra pagina di cronaca locale.
#BattagliaAllaCamorra: Il processo ai clan vesuviani sotto i riflettori, mentre il territorio lotta per liberarsi dal giogo mafioso
Nell’area vesuviana, dove le strade familiari e i paesaggi vulcanici nascondono da sempre storie di ombre e resilienza, si apre ora un capitolo cruciale nella perenne sfida contro la camorra. Qui, tra Somma Vesuviana e Sant’Anastasia, comunità che conosco bene per le loro dinamiche quotidiane di lavoro e lotta, è iniziato il processo con rito abbreviato per 21 presunti esponenti di gruppi criminali legati al potente clan Mazzarella di Napoli. Come cronista locale, non posso fare a meno di riflettere su come queste vicende non siano solo cronache giudiziarie, ma un chiaro specchio delle ferite che la malavita infligge al tessuto sociale che vedo erodersi giorno dopo giorno.
Le indagini, portate avanti per tutto il 2024 con intercettazioni che hanno svelato una rete ben oliata, hanno condotto a un’operazione dei Carabinieri del Nucleo Investigativo di Castello di Cisterna. Questo blitz, eseguito lo scorso maggio su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia, ha portato diciannove persone in carcere e due agli arresti domiciliari. È un colpo duro, ma che lascia spazio a interrogativi: basterà a spezzare il ciclo di intimidazione che da anni strangola le nostre economie locali? Le accuse, che spaziano dall’associazione mafiosa al traffico di sostanze stupefacenti, fino a detenzione di armi, spaccio e tentata estorsione – tutte aggravate dal metodo mafioso – evidenziano un sistema che non si limita a delinquere, ma che controlla e manipola il territorio con una precisione quasi imprenditoriale.
Al centro di tutto, c’è la figura di Michele Mazzarella, il boss soprannominato “o fenomeno”, che secondo gli inquirenti continuava a dettare legge dal carcere di Siracusa. È paradossale, e al tempo stesso frustrante per noi che viviamo qui, pensare come persino dalle sbarre un personaggio del genere possa orchestrare operazioni illecite, confermando quanto la camorra si sia adattata ai tempi moderni. Il primo gruppo, radicato a Somma Vesuviana e guidato da Rosario De Bernardo, era focalizzato sul narcotraffico, dominando piazze di spaccio come quella nel Parco Fiordaliso di via San Sossio. Qui, la loro influenza si traduceva in una vera e propria “alleanza delle piazze”, dove i pusher locali erano costretti a rifornirsi solo dal clan o a pagare tangenti per operare. Come qualcuno che ha visto crescere queste dinamiche, mi chiedo: quante famiglie, quante giovani vite sono state trascinate in questo vortice di dipendenza e controllo, alimentando un’economia sotterranea che sottrae risorse alle attività oneste?
Poi c’è il secondo gruppo, attivo a Sant’Anastasia e capeggiato da Raffaele Anastasio, specializzato in estorsioni che prendevano di mira imprenditori e commercianti. Parliamo di settori vitali per il nostro territorio, come le energie rinnovabili, l’autonoleggio e i servizi funebri – pilastri che dovrebbero sostenere la comunità, non finanziarne la corruzione. Queste richieste di pizzo non erano solo un modo per arricchire il clan, ma anche per supportare le famiglie dei detenuti, perpetuando un ciclo che affossa la fiducia nel tessuto sociale. È un meccanismo che conosco bene: quante volte ho sentito storie di piccoli imprenditori costretti a chiudere o a vivere nel terrore, sacrificando sogni e investimenti per evitare ritorsioni.
Tra gli imputati, nomi come Salvatore Di Caprio, Salvatore Giannetti, Fabio Annunziata, Clemente Correale, Rosario De Bernardo e Carmela Miranda emergono come pezzi di un puzzle che ha dominato il vesuviano per troppo tempo. Questo processo, davanti al GIP Francesca Bardi, rappresenta un’opportunità per infliggere un colpo significativo a una rete che ha esercitato un controllo capillare, ma è anche un richiamo per tutti noi: la lotta alla camorra non si ferma in aula. Serve un impegno collettivo, dalle istituzioni alle strade, per trasformare queste vittorie giudiziarie in un vero cambiamento, ristabilendo la sicurezza e la dignità in un territorio che merita di più di essere definito dal suo passato oscuro. Solo così, potremo guardare al futuro con speranza, anziché con il peso di queste ombre persistenti.
