Cronaca
A Napoli, esplosione di un prototipo in Tangenziale: sei imputati a processo. Un altro segnale d’allarme per la sicurezza locale.
Tragedia sulla Tangenziale: due vite spezzate per una scommessa verde finita in fumo #Napoli #InnovazioneSicura #GiustiziaPerLeVittime
Napoli, città perennemente in bilico tra ambizioni futuristiche e vecchi rischi dimenticati, si trova ancora una volta a fare i conti con le conseguenze di un progetto che prometteva meraviglie ecologiche ma ha lasciato solo dolore e interrogativi. A un anno e mezzo dall’esplosione di un prototipo di auto elettrica sulla Tangenziale, che ha strappato la vita a due giovani ricercatori, il caso è finalmente arrivato in tribunale, rinfocolando il dibattito su quanto la fretta di innovare possa mascherare pericolose negligenze.
Come cronista che vive queste storie tra le strade affollate e i vicoli storici di Napoli, non posso fare a meno di riflettere su come un’iniziativa nata con le migliori intenzioni – un passo verso la sostenibilità in una metropoli già oppressa da inquinamento e traffico – sia finita in un dramma evitabile. Il giudice Ambra Cerabona ha rinviato a giudizio sei individui, accusati di omicidio colposo per aver ignorato chiari segnali di pericolo in un progetto di ricerca focalizzato su veicoli elettrici alimentati da fonti rinnovabili. È una di quelle situazioni che ci fa scuotere la testa: quante volte, qui al Sud, l’entusiasmo per il “prossimo grande balzo” eclissa le basi della sicurezza?
L’incidente si è verificato il 23 giugno 2023, durante una prova su strada di una Volkswagen Polo modificata, che si è incendiata e ha esploso in pochi istanti, uccidendo la ricercatrice del Cnr, “Life Safe”, e il suo giovane tirocinante. Ora, gli imputati – tra cui l’ex docente Gianfranco Rizzo, 73 anni, e altri professionisti come Matteo Marino, Enrico Bianconi, Claudia Bonaccorso, Gregorio Iuzzolino e Francesco Tiano – dovranno rispondere in aula a partire dal 20 gennaio. Da napoletano, mi chiedo: è solo un caso isolato o un sintomo di un sistema che sovente privilegia i finanziamenti e le headline sui dettagli critici, come i test adeguati su componenti delicati?
Le famiglie delle vittime non sono rimaste passive: si sono costituite parte civile, con l’avvocato Fabio Russo per i parenti di Filace e Ivan Filippelli per quelli di Prati, affiancati dal Cnr e dall’Università di Salerno contro tutti gli accusati eccetto Rizzo. Le indagini, guidate dal pm Manuela Persico, hanno portato alla luce email interne che segnalavano problemi con la batteria al litio fin dalle prime fasi, eppure il prototipo è stato consegnato senza le dovute precauzioni. È qui che la polemica si infittisce – come potevamo, noi di Napoli, affidare vite umane a un esperimento green senza trasparenza? Questa non è solo una questione legale; è un monito per le nostre comunità, dove l’innovazione deve convivere con la realtà delle nostre strade caotiche e delle famiglie che pagano il prezzo di errori evitabili.
In fondo, questo processo non è solo su sei nomi, ma su un’intera cultura locale che deve imparare a bilanciare sogni ecologici con responsabilità concrete. Napoli merita di più di progetti che si riducono a titoli di giornale prima di esplodere in tragedie reali. Che questa udienza sia l’inizio di un vero cambiamento, per non dover più raccontare storie come questa.
