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Cronaca

A Napoli, brutale omicidio con acido per Giulio Giaccio: senza aggravante mafia, il processo riprende in aula, tra dubbi locali.

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A Napoli, brutale omicidio con acido per Giulio Giaccio: senza aggravante mafia, il processo riprende in aula, tra dubbi locali.

#GiulioGiaccio25AnniDopo: A Napoli, il fantasma di un’ingiustizia torna a bussare alle porte della giustizia

A Napoli, dove le ombre della camorra si allungano ancora sulle strade di quartieri come Marano, il caso di Giulio Giaccio riemerge dopo un quarto di secolo, ricordandoci quanto sia fragile la linea tra vita e oblio in questa città. Come cronista locale, cresciuto tra queste dinamiche, vedo in storie come questa non solo un tragico errore del passato, ma un riflesso delle piaghe sociali che continuano a infettare il tessuto urbano: la violenza arbitraria dei clan, che trasforma innocenti in vittime per un codice distorto, e l’eterna lotta per un riconoscimento che va oltre le aule di tribunale.

Venticinque anni fa, in quella fatidica notte di fine luglio, Giulio Giaccio, un giovane di 26 anni da Marano di Napoli, venne strappato alla sua vita per uno scambio di persona architettato dal clan Polverino. Quello che era iniziato come un equivoco legato a una relazione sentimentale, vista come un affronto da lavare con il sangue secondo le regole perverse di questi gruppi, si è trasformato in un simbolo di quante famiglie napoletane paghino il prezzo della cieca arroganza criminale. Giulio, un ragazzo comune proveniente da una famiglia onesta, non aveva nulla a che fare con quel mondo; era solo al posto sbagliato nel momento sbagliato, una realtà che, qui da noi, risuona fin troppo familiare nelle periferie dove la camorra si insinua come un’ombra inarrestabile.

Ora, con il 7 novembre all’orizzonte, la Corte d’Appello deve decidere se confermare l’aggravante mafiosa per il suo omicidio. Se questa venisse respinta anche in questa fase, Giulio potrebbe non essere ufficialmente riconosciuto dallo Stato come vittima innocente di mafia, un colpo durissimo per chi, come me, osserva da vicino come queste etichette – o la loro assenza – influenzino il tessuto sociale. Le associazioni come Libera, la Fondazione Pol.I.S. e il Coordinamento dei familiari delle vittime innocenti di criminalità non ci stanno, e il loro appello è un grido che echeggia nelle piazze della città: “Chiediamo alle istituzioni di non voltarsi dall’altra parte – si legge nel comunicato congiunto – e di ristabilire la verità e la giustizia. Pur rispettando le sentenze, non faremo un passo indietro: Giulio Giaccio è una vittima innocente di mafia”.

Questa mobilitazione non è solo un atto formale; è un richiamo alla memoria collettiva, soprattutto in una terra come la Campania, dove la Giornata della memoria e dell’impegno del 21 marzo serve a ricordare centinaia di nomi come quello di Giulio – persone uccise per sbaglio, per coincidenza o per aver osato opporsi. Da cronista coinvolto, mi domando quanto ancora dovremo aspettare perché queste storie spingano a un cambiamento reale: più risorse per le periferie, una giustizia più rapida e un impegno costante contro l’omertà che ancora pervade i nostri vicoli.

I genitori di Giulio, Giuseppe e Rosa, rappresentano il volto umano di questa tragedia. Per anni, hanno atteso nel silenzio, nutrendo una speranza che solo l’amore familiare poteva sostenere, fino a quando le confessioni dei collaboratori di giustizia non hanno squarciato il velo. Oggi, la loro voce è un monito per tutti noi: “Non vogliamo vendetta, ma verità – dicono i familiari – perché Giulio sia riconosciuto per quello che è: una vittima innocente della camorra”. È un sentimento che, nelle comunità locali, risuona come un’eco di troppe altre storie: padri e madri che chiedono non risarcimenti, ma un atto di dignità da parte dello Stato.

Giulio Giaccio è diventato più di un nome su un fascicolo; è un simbolo delle vittime dimenticate, di quegli errori fatali che la camorra lascia dietro di sé, e delle famiglie che lottano per tenere viva la memoria. Mentre ci avviciniamo al 7 novembre, con le aule di tribunale che potrebbero segnare un punto di svolta, è chiaro che a Napoli non basterà una sentenza per estirpare queste radici avvelenate. In piazza, come ogni anno, le voci si alzeranno per lui e per tanti altri, affinché la verità non si dissolva, proprio come quel destino crudele non ha potuto cancellare la loro eredità. Perché qui, nel cuore di questa città, la lotta per la giustizia è una battaglia quotidiana, e storie come questa ci ricordano che non possiamo permetterci di dimenticare.

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