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Cronaca

A Montesarchio, assolto 30enne accusato di violenze su compagna incinta: un verdetto che interroga la comunità.

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A Montesarchio, assolto 30enne accusato di violenze su compagna incinta: un verdetto che interroga la comunità.

#BeneventoSottoProcesso: Un’assoluzione controversa scuote il Sannio, tra giustizia e ombre della violenza domestica

In una Benevento che continua a confrontarsi con le sue ferite sociali, il Tribunale ha emesso una sentenza che lascia l’amaro in bocca, assolvendo un uomo accusato di aver inflitto orrore su chi avrebbe dovuto proteggere. Questa decisione non è solo un verdetto giudiziario, ma un campanello d’allarme per una comunità abituata a vedere la violenza domestica come una piaga silente, spesso sottovalutata tra le strette vie di Montesarchio e dintorni.

Il caso ruota intorno a R.M. D., un 30enne del nostro territorio, che era finito sotto i riflettori per accuse gravi: maltrattamenti e lesioni sulla compagna, all’epoca incinta. Il collegio, presieduto dalla giudice Rotili, ha optato per l’assoluzione totale, rimettendo in libertà l’imputato e revocando ogni misura cautelare. Una scelta che, da cronista locale, mi porta a riflettere su come la giustizia qui nel Sannio a volte sembri danzare su un filo sottile tra prove e presunzioni, lasciando spazio a dubbi che alimentano discussioni nei bar e sui social del quartiere.

Non è la prima volta che casi del genere mettono in crisi la fiducia nelle istituzioni: l’uomo era stato arrestato in flagranza dai Carabinieri della Compagnia di Montesarchio, in risposta a una segnalazione tempestiva. Il fratello della donna aveva ricevuto un messaggio da lei, un grido d’aiuto che aveva innescato l’intervento. Come qualcuno che vive qui da anni, so bene quanto queste storie siano comuni nelle nostre periferie, dove il silenzio spesso copre dinamiche familiari complesse, rese ancora più tragiche dalla gravidanza della vittima. Le accuse parlavano di un pattern di abusi: condotte violente reiterate, culminate in lesioni visibili, come quelle a un occhio e varie escoriazioni sul corpo.

Il percorso processuale è stato un’altalena di misure: inizialmente, R.M.D. è finito in carcere, poi ai domiciliari, con un’evoluzione verso un divieto di avvicinamento supportato dal braccialetto elettronico – una tecnologia che, qui da noi, è vista come un passo avanti, ma che evidentemente non ha dissuaso ulteriori violazioni. Questo ha portato a un inasprimento, con l’aggiunta di un divieto di dimora a Montesarchio. Eppure, ora tutto è cancellato con un colpo di spugna, allineandosi alle argomentazioni difensive dell’avvocato Vittorio Fucci, che ha contrastato la richiesta del pubblico ministero di una condanna a 4 anni.

Da un osservatore del territorio come me, non posso fare a meno di commentare come questa assoluzione rifletta i limiti del nostro sistema giudiziario locale: in un’area come il Sannio, dove la violenza domestica è un tema caldo, con storie di donne che faticano a farsi ascoltare, una decisione del genere rischia di indebolire i segnali di denuncia. Pensateci: quante volte, nei nostri piccoli centri, le vittime esitano a parlare per paura di ripercussioni o di non essere credute? Questa vicenda, che ha catturato l’attenzione della comunità sin dall’arresto, sottolinea quanto la gravidanza della donna abbia reso il caso particolarmente sensibile, un elemento che dovrebbe pesare come un macigno nelle aule di tribunale.

In fin dei conti, mentre Benevento guarda avanti, questa sentenza ci invita a un dibattito più profondo su come proteggere le nostre famiglie e rafforzare le reti di supporto. Non è solo una chiusura di fascicolo, ma un’opportunità per la nostra società di evolversi, imparando dagli errori e dalle ombre che ancora offuscano la via verso una giustizia più empatica e incisiva.

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