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Cronaca

A Castellammare, il clan D’Alessandro ricorre a lumini sotto le case per intimidire vittime di estorsione: un metodo oscuro che rivela la camorra quotidiana.

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A Castellammare, il clan D’Alessandro ricorre a lumini sotto le case per intimidire vittime di estorsione: un metodo oscuro che rivela la camorra quotidiana.

#ClanDAlessandroATerrore: A Castellammare, i lumini accesi non sono per una veglia, ma per un avvertimento che gela l’anima

A Castellammare di Stabia, il racket si è evoluto: ora, al posto di sparatorie eclatanti, i clan usano simboli come i lumini accesi sotto le case per instillare terrore, un metodo che parla direttamente alla paura degli imprenditori locali. Come giornalista che vive qui, tra queste strade affollate e i vicoli che conosco fin da bambino, non posso fare a meno di riflettere su come questi gesti non siano solo crimini, ma un’erosione lenta del tessuto sociale della nostra comunità.

La recente indagine della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli ha smascherato le tattiche del clan D’Alessandro, portando all’arresto di undici persone. Tra loro spicca Massimo Mirano, 56 anni, un pilastro del gruppo nel rione Cicerone, soprannominato ‘o maccarone. Le sue parole intercettate rivelano una mentalità criminale che ci fa venire i brividi: «Pagano tutti quanti, perché si prendono paura delle scoppettate», una frase che riecheggia nelle nostre conversazioni da bar, dove tutti sanno ma pochi parlano.

Secondo gli investigatori, Mirano ha estorto 3.000 euro a un imprenditore edile che lavorava in via Roma, una zona centrale della città. Per ordine dei capi del clan, Antonio Salvato e Francesco Abbruzzese, la somma è salita a 4.000 euro, poi prelevata da un altro membro non ancora identificato. Non è un caso isolato: un altro episodio ha coinvolto un ingegnere – padre di una magistrata – a cui è stata chiesta inizialmente 10.000 euro, ridotta a 2.500 dopo che dei lumini funebri sono stati accesi intorno alla sua casa nel quartiere collinare di Scanzano. Qui, dove il clan controlla appalti e cantieri, queste intimidazioni sono pane quotidiano, un modo per ricordare a tutti che la città è sotto il loro giogo.

Le intercettazioni telefoniche dipingono un quadro spietato. Mirano chiacchiera con un complice sul sequestro di una pistola e 70.000 euro a casa di Salvato, avvenuto il 16 ottobre 2024, collegandolo forse a una denuncia da parte dello stesso ingegnere. Lo stralcio del dialogo intercettato è crudo e illuminante:
Uomo: «L’ingegnere là sopra tiene la figlia che è magistrato… gli vennero ad accendere i lumini a terra intorno alla casa.»
Massimo: «E gli fecero l’estorsione?»
Uomo: «Eh, quelli da diecimila si sono presi duemilacinquecento… secondo me glieli ha dati pure, perché tiene la figlia che è magistrato.»
Massimo: «Pagano tutti quanti.»
Uomo: «Pagano tutti quanti.»
Massimo: «Perché si prendono paura delle scoppettate nel culo loro.»

Queste parole non sono solo prove, sono un’ammissione di un sistema che avvelena il nostro territorio. Come qualcuno che ha visto Castellammare crescere e soffrire, mi chiedo come possiamo ancora tollerare che figure come Mirano non solo estorcano denaro, ma gestiscano anche traffico di stupefacenti, lamentandosi persino dei guadagni bassi dal racket – un’ironia amara in una città dove il lavoro onesto è già una sfida.

Mirano, secondo le indagini, era il braccio operativo del clan: si occupava di avvicinare le vittime, stimare i cantieri e calibrare le richieste. In un’intercettazione, si lamenta di un imprenditore che evitava gli incontri, mostrando quanto queste dinamiche siano radicate nella nostra quotidianità. Il clan D’Alessandro, attivo sin dagli anni ’70 e ’80, continua a imporre le sue regole su Castellammare e i comuni vicini, con le nuove leve che ereditano le vecchie tattiche di intimidazione e violenza.

Questi lumini accesi non sono solo un simbolo; sono un promemoria delle ombre che avvolgono la nostra comunità, trasformando una città vivace in un luogo dove la paura è il prezzo da pagare per dire no. È tempo che, come stabiesi, ci riuniamo per spezzare questo ciclo, prima che il prossimo avvertimento tocchi qualcun altro tra noi.

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