Cronaca
Napoli, minacce all’imprenditore della bonifica Kuwait: “Il paese è nostro”
#Napoli, il potere dei clan e l’impunità: “_Il paese è nostro e il lavoro è nostro_”
La vicenda di Salvatore Abbate, imprenditore fermato con l’accusa di tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso, rivela un quadro preoccupante di pressioni e condizionamenti camorristici nella gestione degli appalti milionario per la bonifica dell’area ex Kuwait a Napoli.
“_Come ti sei permesso di parlare male di me? Tu vieni da Sarno e vuoi lavorare nella Kuwait, ma noi siamo di Ponticelli. Il paese è nostro e il lavoro è nostro. Sono vent’anni che io sono nello stabilimento e a te qua non ti vogliamo, lascia tutto e vattene_”.
Queste parole, pronunciate da Abbate, descrivono un contesto di tensione e minacce nell’ambito dell’appalto per la bonifica dell’area ex Kuwait, un affare da circa 150 milioni di euro.
La denuncia presentata da Aniello Buonaiuto, amministratore della società Vera Ecologia Srl, ha fatto scattare le indagini, che hanno portato al fermo di Abbate.
Buonaiuto aveva riferito “_alcune criticità riscontrate da parte di ispettori e funzionari dell’Ufficio di Medicina del lavoro del distretto di Ponticelli_”, ma la sua azienda era pronta a partecipare alle operazioni di bonifica della Kuwait, per conto della Greenthesis Spa.
Tuttavia, per l’imprenditore sarnese, quel progetto si è trasformato presto in un calvario fatto di intimidazioni, pressioni e blocchi burocratici.
Secondo la denuncia presentata da Buonaiuto, la vicenda ha preso una piega drammatica nel marzo dell’anno precedente, quando “_il 31 gennaio 2024 – ha dichiarato ai pm – avevamo formalizzato un contratto di subappalto per la raccolta e l’insaccamento di 16mila tonnellate di materiale contenente amianto, a 45 euro a tonnellata_”.
Mentre i cantieri restavano inspiegabilmente fermi, una seconda ditta, riconducibile ad Abbate tramite un presunto prestanome, otteneva in tempi record l’approvazione del piano di lavoro.
Il 28 marzo 2024, durante un incontro negli uffici dell’Asl di via Pietro Ammendola, l’imprenditore viene invitato da un ispettore a entrare in una stanza adiacente, dove Abbate lo aspettava con tono intimidatorio: “_Tu non devi lavorare qui, vattene. Ho fatto dieci anni di carcere e non mi preoccupo di gente come te_”.
L’ultimo atto della tentata estorsione si è consumato il 24 gennaio scorso, quando Abbate contatta Buonaiuto via WhatsApp e lo incontra in un bar di via Vespucci, nel centro di Napoli, proponendogli di ritirarsi dall’appalto in cambio di una “_offerta_” di 47 euro a tonnellata.
Buonaiuto ha rifiutato, decidendo di andare avanti nonostante le minacce, ma poco dopo sono arrivati controlli dell’Asl che hanno rilevato presunte irregolarità in materia di sicurezza, provocando la sospensione del cantiere.
Abbate è stato fermato prima di partire per un viaggio all’estero con la famiglia e condotto in carcere, accusato di tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso.
L’inchiesta continua a svilupparsi, puntando a chiarire i legami tra le pressioni subite da Buonaiuto e l’ambiente criminale dei De Micco, storicamente radicati tra Ponticelli e l’area orientale di Napoli.
La bonifica dell’ex sito Kuwait rappresenta uno dei cantieri ambientali più grandi e delicati del Sud Italia, un progetto da 150 milioni di euro che, secondo gli inquirenti, avrebbe attirato interessi economici e criminali disposti a tutto pur di accaparrarsi le commesse.
La denuncia di Buonaiuto segna un punto di svolta: per la prima volta, un imprenditore del settore decide di esporsi, contribuendo a rompere il silenzio su un sistema di pressioni e connivenze che da anni ostacola la riqualificazione dell’area industriale.
Il potere dei clan e l’impunità sembrano ancora essere una realtà a Napoli, ma la denuncia di Buonaiuto e il fermo di Abbate possono rappresentare un passo importante verso la giustizia e la trasparenza nella gestione degli appalti pubblici.
